Ogni tanto vale la pena fermarsi e riflettere sul cammino percorso, sulle sfide affrontate e sulle lezioni apprese lungo il tragitto. Questo vale ancor di più quando si parla di trasformazione Agile: un processo evolutivo, mai lineare, che coinvolge le persone, le strutture e la cultura di un’organizzazione.
Negli ultimi anni ho avuto l’opportunità di partecipare attivamente a un percorso di questo tipo all’interno di un’organizzazione strutturata. L’obiettivo era chiaro: costruire un IT più dinamico, reattivo, aperto al cambiamento e capace di supportare l’innovazione in modo continuo.
Come in ogni trasformazione, non esiste un traguardo finale nitido. La sensazione è che ogni passo sia parte di un ciclo continuo: si chiude una fase, se ne apre un’altra, con nuove domande, nuove ipotesi da testare e nuovi orizzonti da esplorare.
Il cammino è stato lungo, impegnativo, spesso faticoso, ma estremamente arricchente. È un tipo di cambiamento che richiede coinvolgimento emotivo, ascolto costante e tanta sperimentazione. Ho avuto anche il privilegio di raccontare questa esperienza in una intervista su InfoQ, una community internazionale che rappresenta un punto di riferimento per chi si occupa di sviluppo software, architetture, cultura organizzativa e metodologie evolutive.
L’intervista è nata in occasione di un intervento condiviso con alcuni colleghi durante l’Agile Business Day, un evento che riunisce esperienze e punti di vista sul tema dell’agilità in ambito aziendale.
Guardando all’esperienza vissuta, una delle lezioni principali è semplice solo in apparenza: in ogni processo trasformativo, è fondamentale sperimentare, fallire presto e imparare in fretta. È un principio base dell’approccio Agile e Lean, ma metterlo davvero in pratica in contesti strutturati e complessi richiede molto più che una semplice adesione teorica. Serve coraggio. Serve fiducia. Serve cultura.
Il principio dell’Inspect & Adapt diventa uno strumento essenziale: osservare ciò che accade, raccogliere segnali, adattare il percorso, aggiustare il tiro. E accettare che non esistano modelli preconfezionati. In sistemi complessi, come ci ricorda il Cynefin Framework, non ci sono soluzioni universali né buone pratiche trasferibili in automatico. Ogni organizzazione è un mondo a sé.
In questi contesti, l’approccio Probe–Sense–Respond aiuta ad agire con cautela e consapevolezza. Le organizzazioni non sono “liquide”, non si adattano a ogni contenitore in modo spontaneo. Ma per fortuna non sono neppure “solide” e immutabili. Piuttosto, sono “modellabili”, proprio come il vecchio DAS: non troppo rigide, non troppo flessibili. Ma sensibili alla pressione, da dosare con attenzione.
Più un’organizzazione è stratificata, più cura serve per trasformarla. Se si forza il cambiamento, si rischia di incrinare la fiducia, di generare resistenze. Se invece si ascolta, si coinvolge, si costruisce insieme il percorso, allora la trasformazione può diventare reale. Magari anche migliore di quanto immaginato all’inizio.
Per chi si trova oggi in un momento di cambiamento, il consiglio è semplice: osservate la vostra organizzazione come un blocco di materiale modellabile. Non forzate. Non abbiate fretta. Testate, ascoltate, adattate. E accettate che il risultato possa sorprendervi.
La trasformazione Agile non è un progetto. È un viaggio. E vale la pena viverlo fino in fondo.




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